La scienza scalza il dogma, e poi diventa essa stessa dogma?

C’è un grave e preoccupante “fraintendimento” su cosa sia la scienza e quali siano le sue prerogative. Non dovrebbe essere difficile capire che la scienza è uno strumento e, al pari di un martello, non ha in sé né le ragioni né i limiti del suo uso. Le ragioni (motivi e scopi) sono date dal soggetto utilizzatore (agente), che è anche colui che ha la facoltà di porre dei limiti (questioni etiche, giuridiche, ecc.). Di seguito alcune citazioni pertinenti tratte da un’opera di Bertrand Russell.

Da “Storia della filosofia occidentale” di Bertrand Russell (pp. 477 e segg. nell’edizione in mio possesso.)

Enfasi e note aggiunte.

Gli stati si sostituiscono sempre più alla Chiesa come autorità centrali che controllano la cultura. […]

Cominciò allora una lunga lotta tra la scienza e il dogma, […] L’autorità della scienza […] è cosa assai diversa dell’autorità della Chiesa, dato che è razionale e non dogmatica1. Non c’è alcuna sanzione per chi la respinge2; nessun calcolo prudenziale influisce su chi l’accetta. Prevale unicamente per il suo intrinseco appello alla ragione. È, per di più, un’autorità limitata e parziale; non afferma, come il corpo dei dogmi cattolici, un sistema completo che investe la moralità umana, le speranze umane, e la storia passata e futura dell’universo. Si pronuncia soltanto su ciò che, ad un determinato momento, risulta scientificamente accertato, e che è una piccola isola in un oceano d’ignoranza. C’è poi un’altra differenza dall’autorità ecclesiastica, la quale dichiara le proprie affermazioni assolutamente certe ed inalterabili in eterno: le affermazioni della scienza procedono per tentativi, sulla base della probabilità, e sono sempre considerate passibili di modificazione. Tutto ciò dà origine a una forma mentis assai diversa da quella dei dogmatici medioevali.3

Ho parlato finora della scienza teoretica, che è un tentativo di comprendere il mondo. La scienza pratica, che è un tentativo di mutarlo, ha avuto fin dal principio la sua importanza, e l’ha accresciuta continuamente, fino a sostituire quasi del tutto, nella riflessione, la scienza teoretica. Dell’importanza pratica della scienza ci si accorse per la prima volta in rapporto alla guerra […] La parte avuta nella guerra dall’uomo di scienza è rapidamente aumentata. […]

Il trionfo della scienza fu dovuto principalmente alla sua utilità pratica, e il tentativo di scindere questo aspetto da quello teorico ha reso la scienza sempre più tecnica, e le ha tolto sempre più il carattere di dottrina intorno alla natura del mondo.

[…]

La filosofia moderna, però, ha conservato in generale una tendenza soggettivistica e individualistica. […] Rousseau e il movimento romantico estesero il soggettivismo dalla teoria della conoscenza all’etica e alla politica, e finirono, com’era logico, in una completa anarchia simile a quella di Bakunin. Questo estremo soggettivismo è una forma di pazzia.

Intanto la scienza e la tecnica stavano facendo penetrare tra gli uomini pratici una mentalità del tutto diversa da quella che si poteva trovare tra i filosofi teoretici. La tecnica conferiva un senso di potenza: l’uomo è ora alla mercé di ciò che lo circonda molto meno di quanto non lo fosse prima. Ma la potenza donata dalla tecnica è sociale, non individuale; un individuo medio, naufrago in un’isola deserta, poteva arrangiarsi nel XVII secolo anche meglio di adesso. La tecnica scientifica richiede la cooperazione di un gran numero di individui organizzati sotto un’unica direzione. La sua tendenza, quindi, è contro l’anarchia e anche contro l’individualismo, dato che richiede una ben intessuta struttura sociale4. Al contrario della religione, è indifferente dal punto di vista etico: assicura agli uomini che essi possano compiere delle meraviglie, ma non dice loro quali meraviglie debbano compiere. In questo è incompleta. In pratica gli scopi cui tenderà il genio scientifico dipendono in gran parte dal caso. Gli uomini che sono alla testa delle vaste organizzazioni di cui la tecnica scientifica ha bisogno possono, entro certi limiti, volgerla in questa o quella direzione, come preferiscono.

La spinta al potere ha così un fine che non ebbe mai prima. Le filosofie che si sono ispirate alla tecnica scientifica sono filosofie della potenza e tendono a considerare tutto ciò che non è umano come mero materiale greggio. Gli scopi non vengono più presi in considerazione; si valuta soltanto la genialità del procedimento. Anche questa è una forma di pazzia. È, ai nostri giorni, la forma più pericolosa, e contro di essa occorre che una sana filosofia produca un antidoto.


  1. Russell, non avendo la sfera di cristallo, non poteva immaginare che il potere politico sarebbe riuscito ad allevare generazione di cittadini pronti ad abbracciare la scienza alla stregua di un dogma religioso.↩︎

  2. Russell chiaramente non ha potuto anticipare la nascita di nuove forme di autoritarismo totalitario che si parassero dietro “la scienza” con la complicità degli “esperti” e degli “scienziati”.↩︎

  3. Purtroppo anche in questo caso Russell si è sbagliato. Ho una bozza di una teoria in merito a come sia possibile che la mentalità odierna sia ancora (o di nuovo) quella dei «dogmatici medievali». Grossomodo la bozza è questa: lo spirito della «scienza teoretica» è diventato marginale e resta solo quello della «scienza pratica», che per sua natura è più arido, più legato alla mera tecnica (oltre che a logiche utilitaristiche). In questo modo il primo a perdere una visione “olistica” del mondo (e il senso della «maraviglia»), dei rapporti tra homo e “natura” e delle “finalità”, è proprio il tecnico-scienziato, che perciò diventa facile preda compartecipe di interessi economici, politici ed ideologici.↩︎

  4. Russell non prevede, almeno in questo testo (e in nessun altro di mia conoscenza) i potenziali pericoli insiti in questa impostazione. Cioè in breve: l’annientamento dell’individuo, non più elemento valorizzato nella sua unicità, non più padrone di sé stesso e del proprio corpo, bensì ingranaggio, uguale a tanti altri, in un meccanismo più grande di lui e di cui non può controllare niente o pochissimo, e senza il quale la sua esistenza biologica (nonché sociologica e psicologica) non è più possibile. Il pericolo non è solo nella “spersonalizzazione” che possiamo immaginare tipica del “comunismo autoritario”, ma anche nel fatto che il nocchiero di una simile nave può essere la “nemesi” del “comunismo autoritario”: il più sfrenato capitalismo che recupera certi temi di facciata per trasformare le masse in sudditi senza personalità, condizione necessaria per mantenere il controllo e continuare a promuovere le logiche capitalistiche a vantaggio di pochi (qualcuno parla di neofeudalesimo). Un altro problema sta proprio nel fatto che questa «struttura sociale», combinata con le logiche del capitalismo e del potere, ha in sé stessa aspirazioni totalitarie: non c’è alternativa… E chi osa immaginare modelli diversi, o addirittura rivendicare il suo stato di uomo libero e non suddito privato persino della proprietà del proprio corpo, deve essere ostacolato, demonizzato (emarginato, ostracizzato, ecc.) a colpi di leggi inique, slogan, stereotipi, fallacie e tutto l’armamentario moderno della propaganda e delle psyops.↩︎

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